Segreti in tavola

29.11.2025
Vi svelo i segreti del Paniki
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Avete mai sentito parlare del Paniki? Per assaggiare questo piatto bisogna volare nel cuore delle isole indonesiane, dove il confine tra curiosità gastronomica e coraggio personale si fa sottilissimo. Si tratta della celebre, e per molti inquietante, zuppa di pipistrello.

Sì, avete capito bene. Pipistrello. Ma niente paura: per i popoli del Pacifico e dell’Asia, questa carne non è affatto un tabù. Anzi, è quotidianità. In Indonesia, Vietnam, Thailandia il pipistrello è considerato un ingrediente prezioso, parte di una tradizione antica quanto le foreste tropicali che questi animali abitano. Alcune specie, come i pipistrelli volanti delle Marianne, sono così apprezzate da essere diventate rare. 

E pensate che l’illustre Oxford Companion to Food, ovvero la più prestigiosa enciclopedia del cibo, rassicura che i pipistrelli da frutta avrebbero un gusto che ricorda il pollo. A volte il manzo. A volte entrambi. Dipende, diciamo così, dal modello volante. Possono essere cucinati di tutto punto: alla brace, fritti, in umido, alla griglia. Ricchi di proteine, poveri di grassi… anche se, in cottura, possono sprigionare un aroma non esattamente poetico. 

Arriviamo al Paniki, re della tavola del popolo Minahasan, nel nord dell’isola indonesiana di Sulawesi. Qui la ricetta è una vera istituzione. Si parte arrostendo l’intero pipistrello per eliminare il pelo – ricordiamoci sempre che parliamo di un mammifero – poi si prosegue con una cottura lenta insieme a curry, erbe fresche e tanto latte di cocco. Un mix aromatico che regala alla zuppa un profumo intenso, speziato, quasi selvatico.

Il piatto può essere più o meno piccante, a seconda della quantità di pepe o peperoncino aggiunta. E sì, può arrivare in tavola intero. Zampe, ali, muso. Proprio come lo avete immaginato. Un po’ “Indiana Jones e il Tempio Maledetto”, un po’ prova di iniziazione gastronomica.

E in Italia? Nel dopoguerra c’è chi, per necessità, lo ha consumato davvero. Ma oggi i pipistrelli sono protetti per legge, e catturarli o mangiarli è assolutamente vietato.

Il Paniki, comunque, resta un viaggio gastronomico lontano, esotico, affascinante, forse anche un po’ estremo. Un piatto che ci ricorda che la cucina è un linguaggio universale, ma il vocabolario… cambia tantissimo da un Paese all’altro.