Segreti in tavola
Alzi la mano chi non ha esagerato in questi giorni di festa e di ponti!
Ecco i segreti di due piante da utilizzare per una tisana detox: sono due piante spesso considerate selvatiche, spinose, un po’ rudi. Ma dietro a quell’aspetto ruvido, il cardo mariano e la bardana nascondono un mondo di sapori, proprietà benefiche… e storie interessanti.
Partiamo dal cardo mariano, che prende il nome da una leggenda antica: si dice che le venature bianche delle sue foglie siano il latte della Vergine Maria, da cui il nome “mariano”. Botanicamente si chiama Silybum marianum e cresce spontaneo nelle regioni mediterranee — Italia compresa — soprattutto in zone aride e soleggiate, ai margini dei campi o lungo i sentieri incolti.
La coltivazione del cardo mariano è semplice: ama i terreni ben drenati e non ha bisogno di particolari cure. Fiorisce tra maggio e luglio, con un’infiorescenza viola inconfondibile. Della pianta si utilizzano soprattutto i semi, noti per le proprietà depurative e protettive del fegato, ma in cucina si può usare anche il gambo, previa una buona dose di pazienza: va pulito, sfilacciato, bollito per attenuarne l’amaro, si può gratinare al forno, come il cardo gobbo piemontese, oppure stufare con un po’ di aglio, olio e limone. Un contorno d’altri tempi!
La bardana è meno famosa forse, ma altrettanto interessante. Nome scientifico Arctium lappa, cresce spontanea in quasi tutta Europa, Italia compresa, nei luoghi umidi e ombrosi: lungo i fossi, ai bordi dei boschi o vicino ai ruscelli. È una pianta biennale, dalla foglia larga e dal fiore violaceo a forma di riccio. Quelli che da bambini ci attaccavamo ai vestiti per gioco? Esatto, proprio quelli.
Della bardana si utilizza la radice, lunga e carnosa, che si raccoglie nel primo anno di vita della pianta. In Giappone è un ingrediente comune, noto come “gobō”, e viene saltato in padella, fermentato, o aggiunto alle zuppe. In Italia è meno usata, ma sta guadagnando popolarità tra gli chef e gli appassionati di cucina naturale. Ha un sapore terroso, simile al topinambur, con una nota leggermente amarognola.
Ma attenzione: entrambe le piante vanno raccolte con competenza o acquistate da coltivazioni sicure. Sono spontanee, sì, ma non tutto ciò che è selvatico è automaticamente commestibile senza le dovute cautele.
Due piante antiche, dalle mille virtù, che raccontano un pezzo di cultura contadina e tornano oggi nei piatti di chi cerca sapori autentici e ingredienti “ritrovati”.