Segreti in tavola

06.11.2025
Quando degusti i vini devo assaggiare prima i bianchi o prima i rossi? Ce lo spiega Maurizio Dattero
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Quando degusti vini che spaziano dal bianco al rosso, la regola – per quanto provocatoria – che Angelo Peretti sostiene è questa: inizia sempre dal rosso, e lascia i bianchi per dopo: i rossi, con i loro tannini, il corpo, le strutture, chiedono più spazio, più tempo per dispiegarsi. Se li mettessi dopo i bianchi, rischierei che i vini bianchi – più delicati, più luminosi – vengano assorbiti, coperti, “schiacciati” dal ricordo del rosso appena assaggiato.

 

Allora si versa il primo rosso: un rubino profondo, con riflessi granati. Faccio un giro con la lingua: caldo, avvolgente, con tannini decisi ma non invadenti. Il vino apre una storia, un paesaggio, un ricordo. Lo lascio respirare un po’.

 

Poi, un altro rosso, magari meno robusto, più elegante: un gioco di sfumature, aromi di frutti rossi, terra, sottobosco, spezie. Cerco equilibrio, tensione, freschezza.

 

Solo allora, quando il palato è stato ‘riempito’ da vini strutturati, arriva il momento dei bianchi. Li accolgo con piacere: leggerezza, acidità, agrumi, fiori, minerale — tutto risulta più nitido e arioso dopo il passaggio dal rosso. Se avessi fatto l’inverso, il bianco sembrerebbe quasi sussurrare sotto l’eco di un grido rosso.

 

Il racconto del vino diventa allora sequenza, evoluzione, ritmo: il rosso apre l’“atto scenico”, il bianco chiude con una nota luminosa.

Il bianco, bevuto dopo, non è sminuito, anzi, è valorizzato dal contrasto. Ti arriva come un colpo d’ali al termine di un incontro intenso.

 

È questa, in sintesi, la lezione che Peretti ci spinge a mettere in pratica ci racconta Maurizio Dattero: non è un dogma, ma un invito a interrogarsi, a sperimentare, a non dare per scontato “l’ordine classico” bianco-poi-rosso. Così facendo, ogni vino, rosso o bianco, potrà parlare con tutta la sua forza, e con quella delicatezza che altrimenti finirebbe soffocata.