Segreti in tavola
C’è un ingrediente che, più di ogni altro, evoca lusso e raffinatezza: il caviale. Minuscole perle nere che racchiudono una storia antica e affascinante, nata molto prima che diventassero simbolo dell’alta gastronomia che si festeggia ogni anno il 18 luglio, una giornata dedicata pensata per celebrare la storia, la cultura e l’arte del caviale, ma anche per promuoverne un consumo più consapevole e sostenibile, soprattutto in relazione alla tutela dello storione.
Le origini del caviale si perdono tra le acque fredde del Mar Caspio e del Mar Nero. Già i Persiani e i Greci ne apprezzavano il gusto e le proprietà nutritive, ma è in Russia che il caviale acquista fama imperiale: servito nelle corti degli zar, veniva gustato puro, su un cucchiaino d’osso o di madreperla, per non alterarne il gusto con il metallo.
Il caviale vero – quello pregiato – si ottiene esclusivamente dalle uova dello storione, un pesce preistorico che può vivere fino a cent’anni. Tra le varietà più note troviamo il Beluga, il più raro e costoso, l’Oscietra, dal gusto deciso e nocciolato, e il Sevruga, più delicato e di piccole dimensioni.
Oggi, a causa della pesca eccessiva e delle restrizioni internazionali per tutelare lo storione selvatico, gran parte del caviale proviene da allevamenti. I principali produttori? Russia, Iran, Cina, ma anche l’Italia, che si è ritagliata un ruolo di prestigio nel settore grazie agli allevamenti di storioni in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, noti per la qualità delle acque e l’attenzione alla sostenibilità.
E se un tempo era un lusso riservato a pochi, oggi il caviale è sempre più richiesto nei mercati asiatici, in particolare in Cina, che è diventata sia grande produttrice sia consumatrice. Seguono Stati Uniti, Europa e Paesi del Golfo.
Ma come si conserva? Il caviale è un prodotto delicato: deve essere tenuto sempre in frigorifero tra 0 e +4 °C, e una volta aperto, va consumato entro pochi giorni. Non tollera né l’aria né il calore, e non va mai congelato.
In cucina, il caviale non ha bisogno di troppi fronzoli: si gusta al naturale, magari su un blinis caldo con panna acida, oppure su uova, crostacei o risotti, ma sempre con misura. L’importante è che sia lui il protagonista, perché ogni piccolo grano racchiude un’esplosione di sapore che racconta una lunga storia di acque profonde, pazienza e artigianalità.