Segreti in tavola
In Calabria, terra di sole e passione, c’è un piccolo frutto rosso fuoco che racchiude tutta l’anima della regione: il diavolicchio. Un peperoncino piccante e vivace, che non è solo ingrediente, ma simbolo stesso dell’identità calabrese. Lo si incontra appeso in lunghe trecce fuori dalle case, essiccato nei mercati, mescolato con l’olio o pestato nei salumi. Il diavolicchio è ovunque, e racconta una storia antica, fatta di terra e di fuoco.
Le origini di questo peperoncino si intrecciano con le rotte dei commerci transoceanici: come molte varietà piccanti, anche il diavolicchio è arrivato in Europa dopo la scoperta dell’America. Ma è in Calabria che ha trovato la sua seconda casa: qui il clima caldo, il sole generoso e i terreni fertili ne hanno esaltato l’aroma pungente e il carattere deciso.
Si tratta di una varietà della Capsicum annuum, dal frutto piccolo e appuntito, che cresce rigoglioso su piantine alte fino a 80 centimetri.
Viene coltivato soprattutto a mano, in piccoli appezzamenti, spesso a conduzione familiare, dove la cura artigianale fa la differenza. Si semina in primavera e si trapianta a maggio, quando le temperature iniziano a stabilizzarsi. Poi si aspetta, sotto il sole cocente, fino a fine estate: è tra agosto e settembre che i frutti, da verdi, si accendono di rosso brillante e diventano pronti per la raccolta.
Dopo la raccolta, il diavolicchio può essere consumato fresco, ma la sua vera anima emerge con la conservazione. Tradizionalmente viene essiccato al sole, appeso in “collane” chiamate serte, oppure ridotto in polvere o conservato sott’olio. Ogni metodo ne esalta una sfumatura diversa: il secco è ideale per insaporire sughi e legumi, il sott’olio accompagna formaggi e bruschette, la polvere diventa l’ingrediente segreto della ‘nduja e di tanti salumi piccanti.
In Calabria, il diavolicchio non è solo una spezia: è un rito, una cultura, un orgoglio da tramandare. E anche se piccolo, ha un’anima infuocata che non si dimentica facilmente.