Segreti in tavola

21.11.2020
Agnello d'Alpago
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Mai sentito parlare dell’Agnello d’Alpago? Intanto cominciamo con il localizzare l’Alpago, una conca a metà strada tra Cortina d’Ampezzo e Venezia, a pochi chilometri da Belluno, da sempre un luogo ideale per la pastorizia, attività principale nei comuni di Alpago, Chies e Tambre fino al secondo dopoguerra.
E l’Alpago ha dato il nome a una razza ovina autoctona di taglia medio-piccola, dalla curiosa maculatura scura sulla testa e sulla parte inferiore degli arti, dal mantello folto, fine e ondulato che la ricopre totalmente, dal ginocchio e dal garretto fino alla regione frontale. Senza corna, con orecchie corte e profilo leggermente montonino, è una razza rustica, adatta all’ambiente alpino, ma altrettanto idonea all’allevamento in stalla. e come la maggior parte delle razze autoctone, si è drasticamente ridotta nel secolo scorso: oggi sono presenti in zona circa 3000 capi, una leggera ripresa rispetto ai primi anni Novanta, quando la Comunità Europea la inserì tra le specie locali minacciate di estinzione, grazie al Presidio Slow Food che ha registrato un marchio proprio, “Agnello d’Alpago”, e garantisce la completa tracciabilità del prodotto: l’etichetta apposta sulle carni riporta il marchio, il nome e l’indirizzo dell’allevatore e i codici del macello e dell’allevamento.
L’alimentazione di questi animali è naturale, fatto indispensabile per ottenere carni eccellenti: l’allevamento di questi ovini è allo stato brado, con alimentazione a base di foraggio di prato, oppure semibrado con l’integrazione di fieno prodotto in loco e sfarinati di cereali. L’uso dell’ ovile è permesso solo a condizione di garantire il benessere degli animali e un accrescimento sano ed equilibrato.
L’Agnello d’Alpago è considerata razza ovina “a triplice attitudine” cioè valida sia per la carne sia per la produzione di latte e di lana, anche se oggi l’alpagota è allevata quasi esclusivamente per la gustosa carne: saporita, tenera e compatta allo stesso tempo, può reggere il confronto con i più celebri pre-salé d’oltralpe. Gli agnelli migliori sono quelli macellati a 55, 65 giorni dalla nascita e con un peso da vivi di 18, 25 chilogrammi.
L’agnello d’Alpago ha una carne tenerissima, che si sfalda in bocca, un giusto equilibrio di grasso-magro, sensazioni che non sanno mai di selvatico, al limite di erbe aromatiche. La carne di agnello può essere reperita durante l’anno a seconda dei cicli riproduttivi della razza e in particolare, tra dicembre e aprile. È perfetto anche in abbinamento ai piatti poveri della tradizione locale come la patora, zuppa di mais e legumi, oppure la bagozia, una sorta di polenta fatta con patate, mais, legumi e anche salame e pancetta.
Vi svelo un segreto: la pecora d’ Alpago ha mantello folto, fine e caldo, dalla quale si ottiene una lana pregiata, soffice e compatta, piacevole al tatto, capace di mantenere il calore e allo stesso tempo la leggerezza. Da alcuni anni vengono confezionati prodotti unici: coperte, tabarri, cappelli e pantofole.

(Se l’hai perso leggi e ascolta l’approfondimento dedicato alla Porchetta Trevigiana)