Segreti in tavola
Pochi piatti al mondo sanno raccontare l’Italia come il ragù alla bolognese. Carne macinata, soffritto di sedano, carota e cipolla, un tocco di pomodoro: ingredienti semplici che, cotti lentamente per ore, diventano poesia. È una ricetta che tutti pensano di conoscere, ma che nasconde segreti, discussioni e persino atti ufficiali. Ma la domanda principale è: nel ragù alla bolognese ci va il latte?
Già nell’Ottocento, Pellegrino Artusi ne parlava nella sua Scienza in cucina, proponendo un intingolo bianco arricchito addirittura con panna. Qualche decennio dopo Ada Boni, nel Talismano della felicità, lo descriveva in una versione molto simile a quella che conosciamo oggi, ricordando però una tradizione bolognese “più raffinata” che prevedeva l’aggiunta del latte per rendere la salsa più delicata.
E poi c’è l’Accademia Italiana della Cucina che, nel 1982, ha depositato presso la Camera di Commercio di Bologna la ricetta ufficiale. Una ricetta rivisitata nel 2023, con un dettaglio importante: il latte è diventato facoltativo. Perché in fondo il ragù alla bolognese non è mai uno solo, ma una melodia di infinite variazioni, tramandate da generazioni.
La preparazione richiede pazienza: pancetta, carne macinata di manzo e maiale, vino, passata e concentrato di pomodoro, brodo e un fuoco lento che accompagna la cottura per due o tre ore. Alla fine, quello che si ottiene è una salsa cremosa, avvolgente, di un caldo colore aranciato.
Un condimento che a Bologna incontra le tagliatelle fresche all’uovo, e che altrove ha sposato anche le lasagne o persino gli spaghetti, per quanto i puristi arriccino il naso. In ogni caso, resta un simbolo: un piatto che non conosce mode e che continua a rappresentare l’arte italiana di trasformare la semplicità in eccellenza.