I Presidi Slow Food: Simona Briganti e i segreti delle Albicocche del Vesuvio Crisommole

I Presidi Slow Food: Simona Briganti e i segreti delle Albicocche del Vesuvio Crisommole
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Presidi Slow Food: Albicocche del Vesuvio Crisommole

“Dopo il fico, l’albicocco è forse l’albero fruttifero più abbondante presso Napoli, soprattutto nei contorni del Vesuvio, dove vien meglio che altrove; e più maniere se ne contano differenti nelle frutta le quali nel nostro dialetto sono chiamate crisommole” riporta il “Breve ragguaglio dell’Agricoltura e Pastorizia del Regno di Napoli” scritto nella metà dell’800. Estremamente dolci, di qualità organolettica superiore alle moderne varietà, ma più delicate e deperibili e quindi di difficile gestione nei mercati ortofrutticoli moderni.
I nomi sono curiosi, solo per citarne alcuni: boccuccia, pellecchiella, vitillo, cafona, vicienzo e’ maria. Sono la testimonianza di un’intensa attività di selezione varietale svolta nei secoli dai contadini vesuviani per ottenere il meglio da una delle risorse più redditizie di questa terra. La boccuccia può essere liscia o spinosa a seconda della ruvidità della buccia e avere un sapore leggermente agrodolce, la vitillo è grossa e tonda, apprezzata per la produzione dello sciroppato, la pellecchiella è considerata una delle migliori per il sapore particolarmente dolce e lo straordinario profumo..
Le piante di albicocco erano seminate e il loro sviluppo era osservato attentamente; se si evidenziavano caratteri morfologici, organolettici o commerciali interessanti erano mantenute e propagate, altrimenti erano espiantate. La nuova varietà selezionata dai contadini, detta in vernacolo “pelese”, “razza verace”, “razza riuscita” o “razza nativa”, prendeva il cognome, il nome o il nomignolo dell’agricoltore che l’aveva ottenuta, oppure veniva chiamata come la località o il podere di origine, o ancora veniva definita da qualche spiccato carattere della pianta o del frutto.
Delle circa 100 cultivar riportate nella letteratura ne sono state rintracciate ancora una settantina, ma la maggior parte è sopravvissuta e ospitata in campi di collezione varietale.
Una quindicina di cultivar di albicocco invece è ancora presente in campo, in un’area del Vesuvio che va dai 50 ai 150 metri di altitudine s.l.m., in aziende di piccole dimensioni. I terreni sono vulcanici e prevalentemente sabbiosi, le piante di albicocco sono coltivate in consociazione ad altre piante da frutto e ortaggi, non si pratica il diserbo con sostanze chimiche e si concima solo con prodotti organici.
La raccolta avviene tra giugno e luglio ed è manuale. Dopo il raccolto, le albicocche sono portate subito al mercato per poterle gustare al punto giusto di maturazione, nel momento in cui la loro qualità è migliore, oppure per trasformarle in confetture e pasticceria.
Il periodo di raccolta inizia dalla prima decade di giugno e termina entro fine luglio
A partire dal 1970, il processo di urbanizzazione nell’area vesuviana ha ridimensionato fortemente le attività agricole ed ha confinato la coltivazione dell’albicocco in frutteti minuscoli, spesso rinchiusi tra gli edifici. Negli stessi anni sono nati nuovi mercati e nuove zone di produzione in altre regioni.
Il Presidi o Slow Food coinvolge aziende di piccole dimensioni che salvaguardano la biodiversità varietale, tutelano i vecchi impianti, le 23 varietà tradizionali vesuviane e si impegnano a migliorare i sistemi di raccolta e di vendita al fine di valorizzare le peculiarità dei frutti. Le piante di albicocco sono coltivate in consociazione con altre piante da frutto e ortaggi e si concimano solo con prodotti organici.

(Se l’hai perso leggi e ascolta l’approfondimento Segreti in tavola dedicato ai meloni reggiani)

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