I Presidi Slow Food: Pietro Bonaccorso ci svela i segreti del pistacchio verde di Bronte

I Presidi Slow Food: Pietro Bonaccorso ci svela i segreti del pistacchio verde di Bronte
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Presumibilmente originario del Belucistan iraniano, dall’Asia centrale il pistacchio si è diffuso nel corso dei secoli verso l’Estremo Oriente e verso il Mediterraneo. In Sicilia lo sviluppo delle coltivazioni si deve agli arabi (a Bronte il pistacchio si chiama frastuca, dall’arabo fustuq); fino agli anni Trenta del Novecento nell’isola c’erano 30.000 ettari di pistacchieti che poi, progressivamente, sono stati quasi interamente soppiantati da colture più redditizie. Non a Bronte, dove solo questa pianta era in grado di crescere sui terreni accidentati e lavici dell’Etna acquisendo caratteristiche organolettiche uniche. Gli alberi, presenti anche fino a 800 metri di quota, non hanno bisogno di concime o di irrigazione, generalmente non necessitano di trattamenti e si potano un paio di volte: il pistacchio produce ad anni alterni e nell’anno in cui riposa i contadini eliminano le poche gemme spuntate sui rami. La raccolta è quasi acrobatica, in bilico sui massi di lava. In una giornata di lavoro se ne raccolgono non più di 20 chili: anche se esistono macchine per smallare o per sgusciare, la raccolta può essere fatta solo a mano. Considerando questi e altri fattori, è facile capire perché il prodotto etneo non riesca a reggere la concorrenza con i frutti meno saporiti, ma meno costosi, provenienti da Iran, Turchia e America.
Si raccoglie da fine agosto a inizio settembre, il prodotto sgusciato si può trovare tutto l’anno.

(Se l’hai perso leggi e ascolta l’approfondimento Segreti in tavola dedicato ai capperi di Salina)

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