Vi svelo i segreti delle Sebadas di Sardegna IGP

Vi svelo i segreti delle Sebadas di Sardegna IGP
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Sapevate che è arrivata una nuova certificazione europea IGP? Nella Gazzetta Ufficiale Europea del 10 luglio, infatti, è stata registrata la denominazione Sebadas di Sardegna IGP che, nel comparto Cibo.
Quando si pensa alla Sardegna vengono subito in mente le spiagge e il mare cristallino, ma questa terra offre molto di più, a partire dal magnifico cibo, ricco e profumato, che si può degustare! Il dolce sardo per eccellenza, ovvero la seada, è oggi certificato IGP.
Chi ha avuto la fortuna di assaggiarla saprà che la seada sarda è un piatto che deriva dalla cucina “povera”, che utilizza ingredienti semplici e di facile reperibilità. Una sorta di piccolo calzone di pasta di semola ripieno di formaggio fresco, che viene poi fritto e avvolto nel miele. Buonissimo!

Seada, sebada, sebadas, seatta, sevada: zona dell’isola che vai, nome che trovi! E le origini del nome sono piuttosto controverse.
Secondo alcuni l’origine è spagnola, vista la dominazione della Spagna, dalla fine all’inizio ‘700: deriverebbe, quindi, dalla parola spagnola cebar, che in italiano possiamo tradurre come “cibare, alimentare”.
Se il significato del nome è controverso, più chiara è invece l’origine della ricetta che arriva dalle zone interne della Sardegna, aspre e brulle come la Barbagia, l’Ogliastra e la Gallura, dove questo piatto veniva preparato dalle donne per festeggiare le ricorrenze speciali, come il Natale o la Pasqua, ossia quando i loro mariti pastori rientravano dai lunghi periodi di transumanza. E forse non tutti sanno che la seada non è un dolce!

Il segreto per la preparazione di una perfetta seada? la pasta e il ripieno di formaggio. La pasta si prepara con la semola di grano duro e lo strutto, la cosiddetta pasta violada o violata, che si ottiene con una buona manualità e una lenta lavorazione. Per il formaggio principalmente pecorino sardo non salato, freschissimo e acidognolo al punto da filare dopo la cottura: un tempo, per farlo inacidire le donne della Sardegna lo avvolgevano in un panno umido e lo lasciavano riposare per almeno due giorni.

(Se l’hai perso leggi e ascolta l’approfondimento Segreti in tavola dedicato al biancospino)

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